lunedì 21 marzo 2016

Premio-punizione nelle scuole, ovvero come impoverire ancora di più chi ha più bisogno



Sono anni che cerco di condividere con educatrici e insegnanti i tanti terribili tranelli che il metodo premio-punizione nasconde. Nell'illusione del controllo e del rispetto delle regole, questo sistema genera paura attraverso comportamenti aggressivi o compra attraverso la ricompensa.
In questo modo, si insegna ai bambini, già da piccoli, a non comprendere il valore delle singole attività o conoscenza che vengono loro trasmesse, ma a mercificare l'adesione a specifici comportamenti e saperi in vista di un risultato.
Negli incontri con genitori e insegnanti ricordo sempre la storiella di Gregory Bateson che a memoria fa più o meno così:

La mamma di Luca dà sempre un gelato a suo figlio dopo che questi ha terminato di mangiare tutti i piselli. 
Dovremmo quindi chiederci cosa ci dice se da grande: 
- Luca amerà o odierà i piselli;
- Luca amerà o odierà il gelato;
- Luca amerà o odierà la sua mamma.

Quel che è certo, aggiungo io, è che Luca non apprezzerà i piselli per quello che sono, ma li vedrà solo come un mezzo per ottenere una ricompensa. Questo è uno scambio commerciale.
Riproposto in diversi ambiti educativi, questo metodo insegna a adeguare il proprio comportamento, i propri bisogni e le proprie idee per ottenere amore o non subire una punizione da parte delle figure educative di riferimento.

Un altro esempio deriva dalla mia esperienza diretta come professionista in ambito musicoterapeutico.
Ero alle mie prime esperienze in ambito scolastico. Tenevo un ciclo di incontri di musica presso una scuola primaria della provincia di Milano. Gli obiettivi generali erano quelli di permettere ai bambini di sperimentare esperienze musicali strutturate, piacevoli e creative, per comprendere innanzitutto cos'è il suono e la vibrazione, e favorire un graduale processo di scambio musicale nella classe e il processo di autoregolazione dei bambini. Non la normale lezione di musica, con flauto dolce e tastiera, insomma.
Dopo i primi incontri, ho iniziato a notare l'assenza sistematica di alcuni bambini all'incontro. Casualmente, quelli più "problematici". A quel punto ho chiesto una spiegazione all'insegnante di riferimento, la quale mi ha detto che erano assenti perché non si erano comportati bene in classe. Poiché l'attività di musica era per loro una delle più belle della settimana, essa era stata usata come strumento di ricatto, come forma di premio. Risultato: i bambini che più avrebbero giovato di tali incontri, erano sistematicamente esclusi, e un'attività che era di per sé bella e stimolante diventava immediatamente qualcos'altro.
I bambini che più hanno bisogno, secondo il modello premio-punizione, vengono sempre meno nutriti da cose belle e stimolanti, per il semplice fatto che, secondo questo modello, non se lo meritano!
Ho chiesto all'insegnante di non usare più i miei incontri come forma di ricatto. E da quel giorno, ogni volta che avvio un progetto con una scuola, esplicito questo punto per evitare fraintendimenti.

Noi genitori e noi professionisti dell'educazione non dobbiamo farci sedurre dai presunti risultati immediati del metodo premio-punizione, perché le sue ricadute nel medio-lungo termine sono tragiche. Dovremmo sempre riflettere su tali ricadute prima di agire, e cercare metodi nuovi, creativi che aiutino i bambini a comprendere il senso di quello che stanno facendo e di andare oltre la paura. Solo così è possibile mantenere viva la loro curiosità ad apprendere e sana e congruente la nostra relazione con loro.

Un ultimo esempio lo cito qui sotto in forma di fumetto. Sono tre pagine tratte da Paul ha un lavoro estivo, di Michel Rabagliati. In questo caso, il protagonista della vicenda viene escluso da un progetto parascolastico da lui stesso proposto e sviluppato, perché i suoi voti scolastici sono negativi. Osservate nella splendida sintesi del tratto di Rabagliati, la sbornia di potere del dirigente scolastico e chiedetevi, quante volte lo abbiamo visto in azione, questo processo? Quante volte ne sono stato io stesso protagonista e artefice?
Ancora oggi accade, in scuole non tanto lontane da noi, anzi vicinissime, che gli insegnanti girino il banco di uno studente rivolto verso il muro, in modo che non possa vedere altro. In fondo alla classe, faccia al muro... Cosa sto insegnando veramente in questo modo? Cosa sto producendo?







1 commento:

Guglielmo ha detto...

Riposto qui un commento di fb dell'amica Chiara, che se no si perdono. Lasciamo tracce:

"Guglielmo, la scorsa settimana mio figlio che frequenta la seconda media, durante l'ora di musica ha riso. In effetti lui è un tipo allegro e l'insegnante stava facendo fare esercizi che il ragazzino ha trovato divertenti. Non è possibile ridere (abbiamo passato 5 anni di elementari sentendoci dire che i bambini ridevano troppo) il professore ha pensato bene di fargli passare l'intera ora in un angolo, in piedi e con la faccia al muro. Anno 2016 scuola media potenziata."

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