(c) peter kuper
Ho avviato con un gruppo di persone affette da disturbi psichici un laboratorio di musicoterapia che si sviluppa nell’arco di circa quattro mesi.
All’inizio di ogni percorso mi faccio alcune domande, più o meno sempre le stesse.
Cosa voglio comunicare dell’esperienza del suono e della musica.
Quali predisposizioni o interessi incontrerò nel nuovo gruppo.
Quali conoscenze nuove avrò modo di apprendere.
Quale richiamo sentiremo, se il movimento del corpo, l’improvvisazione musicale, il canto, il silenzio…
La malattia psichica (o psichiatrica, per certi versi) assume spesso l’ombra della disperazione. Abbiamo la fortuna di camminare per il mondo sviluppando quel poco di consapevolezza che la nostra natura ci concede, per quello che siamo e quello che si muove dentro e intorno a noi. Sappiamo bene che il potenziale distruttivo della pazzia, dell’alienazione, dell’autodistruzione, è presente nel corpo e nella mente di tutti.
Con questa consapevolezza, non è difficile incontrare gli altri con semplice apertura.
È qui che il suono si presenta come un’opportunità.
Il tessuto connettivo della musica, la sua portata armonizzante, emozionante, stimolante, rilassante favorisce l’incontro. Non c’è separazione quando si è immersi insieme nelle stesse onde sonore.
La fenomenologia ci dice che tutti gli esseri umani rispondo con le stesse caratteristiche e gli stessi meccanismi a determinate situazioni, ma ognuno mettendo in campo la propria specificità derivante dalle risorse, dalla storia, dalle ferite, dalle gioie individuali.
Il suono unisce e differenzia, quindi. È in questo incontro diversificato che è possibile il confronto costruttivo, la sorpresa, l’apprendimento.
In questo terreno fertile, è di secondaria importanza la tecnica che si utilizza, o l’obiettivo espressivo che si vuole mettere in atto. Ovvero, rimangono centrali e importanti perché caratterizzano e danno senso all’intervento, ma al contempo sono inutili, privi di senso, appunto, se non si basano sul terreno comune dell’incontro.
La musica è al contempo contenitore e contenuto, espressione e inflessione, apertura e ripiegamento.
Il primo compito del musicoterapeuta, nelle situazioni di disagio, quindi, è ricordare a tutti i partecipanti, per primo se stesso, quali sono le caratteristiche tutte umane che ci accomunano indistintamente. Il secondo compito, che nasce e si sviluppa insieme, è la valorizzazione della portata individuale di ogni persona. È un equilibrio importante che l’esperienza del suono favorisce in modo straordinario.
Nel momento in cui il gruppo, per esempio, si impegna in un’improvvisazione collettiva con strumentazione Orff, il gesto comune del fare musica favorisce condivisione e differenziazione, nel contributo specifico di ogni partecipante. La qualità dell’impegno, dell’energia, della precisione ritmica, dell’attenzione all’altro, della propria affermazione sull’altro, … è il principio sul quale ruota l’esperienza e si connota quel tipo di particolare equilibrio. L’eccitazione della scoperta si riattiva, la vitalità trasferita dal e nel suono genera inaspettate emozioni, che è possibile accogliere o rifiutare, ma che sono lì, per dare senso al nostro fare comune.
Tutte questo viene prima della bellezza, di un esecuzione o di una voce, ma genera inevitabilmente, prima o dopo, bellezza. Dobbiamo superare il problema della bellezza di quanto viene suonato, danzato, cantato. Dobbiamo superarlo in negativo, andando oltre l’idea che da persone che non hanno specifiche conoscenze musicali, per di più limitate da sofferenza psichica, non possa in alcun modo nascere qualcosa di bello e che, di conseguenza, tale qualità non vada affatto ricercata. Dobbiamo superarlo in positivo, andando oltre l’idea che uno degli obiettivi primari debba essere la riproduzione del bello. Uso appositamente il termine “riproduzione”. La bellezza non nasce dall’accostamento a modelli (sinfonici, jazzistici, cantautorali, …) specifici e noti, ma dall’apertura all’inaspettato. È il potenziale naturalmente armonico e benefico della musica, che si rivela nell’ascolto reciproco e nella capacità di lasciarsi andare all’esperienza autentica. Riferirsi a un bello già dato può rivelarsi costrittivo, inefficace, doloroso.
Armonia ed esperienza autentica sono obiettivi importanti di lavoro. E qualunque siano le tecniche messe in gioco, il musicoterapeuta può raggiungere questi obiettivi solo attraverso l’incontro e il confronto. Inutile dire che il primo ad essere disponibile a questo incontro deve essere proprio il musicoterapeuta.
Senza paura.
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