La più semplice e incisiva definizione di
meditazione, è questa: riuscire a vedere le cose così come sono. La meditazione
non è una tecnica. È una condizione esistenziale. Le diverse, infinite tecniche
possono aiutare a sviluppare un atteggiamento meditativo nella vita quotidiana.
Lo scopo?
Vedere sé stessi in relazione al mondo, nel nostro percorso di crescita e di pacificazione, per quello che siamo, al di là di paure, proiezioni e condizionamenti (consci e inconsci). La meditazione è un salto nell'inconscio che riemerge e si rivela alla nostra consapevolezza. Perché ciò accada, è necessario imparare (di nuovo) a giocare, a celebrare l’esistenza in modo gioioso. Sviluppare curiosità, coraggio e stupore verso l’esistenza, in ogni sua forma. Ecco come Osho spiega questo processo:
Lo scopo?
Vedere sé stessi in relazione al mondo, nel nostro percorso di crescita e di pacificazione, per quello che siamo, al di là di paure, proiezioni e condizionamenti (consci e inconsci). La meditazione è un salto nell'inconscio che riemerge e si rivela alla nostra consapevolezza. Perché ciò accada, è necessario imparare (di nuovo) a giocare, a celebrare l’esistenza in modo gioioso. Sviluppare curiosità, coraggio e stupore verso l’esistenza, in ogni sua forma. Ecco come Osho spiega questo processo:
La parte che avete
rinnegato, l’inconscio, può divenire attiva e creativa soltanto se arricchite
la vostra vita di una nuova dimensione: la
dimensione del festoso, del gioco. La meditazione, di conseguenza, non deve
essere un lavoro, ma un gioco. Pregare non è un affare serio, ma un gioco.
Meditare non è un’attività finalizzata all’ottenimento di uno scopo (pace,
felicità…) ma qualcosa di cui si deve gioire come fine a se steso.
La dimensione
gioiosa è la cosa più importante da cogliere…e l’abbiamo persa totalmente. Per festoso, gioioso, intendo la capacità
di gioire, momento per momento, di tutto quello che vi tocca.
Siamo ormai così
condizionati e le nostre abitudini sono divenute così meccaniche che la nostra
mente è orientata al raggiungimento di un utile anche quando non c’è alcun
utile da raggiungere. Non c’è bisogno di restringere il campo mentale, eppure
lo si fa. Perfino quando giocate, non
state giocando. Non ne traete piacere. Giocate a carte, per esempio, ma non
ne traete godimento; giocate per la vittoria e il gioco diventa allora un
lavoro. Quanto sta accadendo non è importante, quello che conta per voi è
soltanto il risultato.
In
una prospettiva economica è il risultato a essere importante. In una
celebrazione festosa quello che conta è invece l’atto. Se siete capace di
rendere ogni azione significante di per sé, essa diventa un rito e ne traete
gioia.
In simili occasioni
i limiti, le delimitazioni restrittive, sono infranti. Non ce n’è bisogno e li
si getta. Smettete la vostra camicia di forza,
la forza costrittiva della concentrazione. Ora non state più scegliendo;
accettate tutto quello che viene. E nel momento in cui accogliete in voi la
totalità dell’esistente, divenite uno con esso. È una comunione.
È
questa comunione che chiamo meditazione: questa celebrazione, questa consapevolezza non selettiva, questo
atteggiamento di assoluta gratuità. La
festività è nel momento, nell’atto – non nella preoccupazione per i risultati,
né nel loro raggiungimento. Non c’è
nulla da raggiungere: si può gioire di quanto è qui e adesso.
Ogni istante può
essere “economico” e ogni istante può essere meditativo. La differenza sta
nell’atteggiamento. Se avete trasceso ogni scelta, se lo vivete come un gioco, allora è meditativo.
Osho,
Meditazione dinamica, ed. Mediterranee.
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