mercoledì 16 febbraio 2011

Dialogo sonoro con ipoacusici


Understand how harmony and vibration work, and suddenly you will look at your life like one big music class.


Concludo un percorso di formazione con un gruppo di persone ipoacusiche. Il ciclo di quattro incontri si è proposto di riflettere sulla comunicazione e le relazioni all’interno dei contesti organizzativi, utilizzando la metafora del dialogo sonoro con le percussioni. I tamburi, in particolare, con le loro vibrazioni profonde, concrete, sono stati gli strumenti privilegiati di un lavoro per me inedito, una bellissima occasione per imparare alcune cose molto chiare sul suono, sull’ascolto, sull’incontro, sul linguaggio.
Ho potuto comunicare con loro, oltre che con la musica, grazie a un’interprete molto brava e sensibile. La Lis (Lingua dei Segni) è un mondo affascinante e misterioso per me. L’attenzione e l’impegno con cui l’interprete rappresentava il mio linguaggio verbale era in sé un’esperienza sorprendete. E feconda.
Il progetto, realizzato con la Fondazione Adecco per le pari opportunità e con l'ENS Milano, prevede, accanto al mio intervento con il dialogo sonoro, un approfondimento sull’orientamento al lavoro, simulazioni di colloqui e un tirocinio personalizzato in azienda. Si completerà in questi mesi, e nella speranza che possa essere una reale opportunità lavorativa per i partecipanti, al termine del mio ciclo di interventi, condivido nel blog alcune annotazioni.

Le vibrazioni sonore
I sordi hanno un rapporto col suono molto speciale. È un ovvio paradosso. Per loro, l’ascolto si sviluppa con modalità del tutto particolari. Non avendo possibilità di sviluppare il tradizionale ascolto con l’udito, sviluppano una sensibilità molto chiara verso la vibrazione sonora. Vibrazione che è, lo ricordo, sia un procedimento meccanico che energetico (in fisica le due cose vanno sempre insieme). La vibrazione sonora è relazione, si muove nello spazio e crea collegamenti tra corpi distanti tra loro. La convibrazione avvicina quel che è lontano, unisce quel che è simile ma diverso (corpi diversi che vibrano alla stessa lunghezza d’onda). Per gli ipoacusici, questa esperienza è naturale. È più difficile rappresentare e far comprendere profondamente questa realtà alle persone udenti, che sono abituate a vivere l’esperienza del suono soprattutto attraverso l’udito e poco attente a percepire i segnali nel corpo. I tamburi, con le loro vibrazioni profonde e radicanti, permettono di sintonizzare velocemente il gruppo di sordi a un livello di attivazione molto alto, gioioso, condiviso. È sorprendente vedere la gioia che si trasferisce da persona a persona durante un’improvvisazione collettiva (e ci torno sotto).
Una curiosità. Un loro commento mi ha permesso di riflettere sulla qualità del suono percepibile attraverso la vibrazione. Mi è stato detto infatti che le vibrazioni prodotte dal mio suonare più esperto e preciso rispetto al loro (intuitivo, esplorativo, meno raffinato) risultano più chiare e definite. Un aspetto qualitativo delle vibrazioni che tendiamo a sottovalutare.

La comunicazione non verbale
I sordi ascoltano anche con la vista. Per riuscire a suonare allo stesso ritmo un tamburo, due persone ipoacusiche devono osservare le mani, il ritmo del movimento del colpo sulla pelle. La vibrazione è meno definita e precisa nelle caratteristiche ritmiche rispetto al suono percepito con l’udito. L’osservazione visiva permette loro quindi di recuperare importantissime informazioni.
Nella vita quotidiana, lo sappiamo, ascoltano leggendo il labiale, e intuitivamente attribuiscono più importanza alla mimica e alla postura. Tale atteggiamento è evidente soprattutto se ci si ritrova a parlare con persone udenti che lavorano quotidianamente con i sordi. La loro gestualità e la loro mimica nella normale comunicazione è amplificata, ricca. Nulla a che vedere con i famosi (o famigerati) eccessi mimici degli italiani. C’è un che di poetico, teatrale e vivissimo in quell’enfasi delicata. L’intervento formativo con la musicoterapia si connota in questo caso, ancor più che in altri, come un intervento sincretico e sinestetico.

Incontrare l’altro
Su un tema mi sono soffermato più volte durante il laboratorio. Nell’incontro con l’altro, persona udente, le difficoltà di comunicazione sono equamente ripartite. Come sempre, cioè, il confronto con l’handicap, o con i limiti di una persona, si incrociano vicendevolmente. Mi spiego. Nella quotidianità, è certo che il sordo vive la difficoltà di non poter ascoltare le parole che un udente utilizza per comunicare. C’è quindi un’importante frustrazione derivante da un limite, una mancanza oggettiva che riduce la gamma delle possibilità espressive naturali. D’altra parte, i sordi negli anni hanno appreso e sviluppato tecniche e strategie per superare tale limite. È questa una delle proprietà più belle e ricche di ogni limite, ovvero il suo porsi come stimolo per un superamento, per una crescita. Un’opportunità. Le persone ipoacusiche quindi cercano (e spesso trovano) un nuovo equilibrio comunicativo e relazionale, costruito con l’esperienza, la pratica e la creatività, dove un mix di elementi converge per trasformare il limite in risorsa: la LIS, il non verbale, le vibrazioni, la scrittura, ecc.
Quel che manca al sordo, spesso, è la consapevolezza della difficoltà che il loro limite pone alle persone udenti che incontrano il loro cammino. L’ho vissuto e sperimentato in prima persona durante questi incontri. Tra loro, i partecipanti comunicavano senza problemi mentre io ero escluso, analfabeta e inadeguato. Paradossalmente, il sordo è preparato ad affrontare una situazione che coglie la persona udente del tutto di sorpresa, scoprendosi, quest’ultima, in imbarazzo e impreparata. È un punto essenziale, per il sordo che deve entrare in una qualunque organizzazione, ricordarsi che dovrà lui per primo impegnarsi per aiutare gli altri a superare la loro comune difficoltà comunicativa. Per far questo, il primo passo è lasciar cadere il tipico atteggiamento vittimistico dell’incompreso, così comune (spesso a ragione, non dimentichiamolo, ma raramente utile) tra gli ipoacusici. Sono sordo ma normodotato. Gli altri non mi accettano per il reale potenziale che ho. Eccetera. Possiamo cogliere qui un grande spunto sulla responsabilità personale, sull’apertura all’altro e all’ignoto. Una lezione che la pratica con il dialogo sonoro permette di mettere in atto molto chiaramente, offrendo un valido contributo alla comprensione. L’improvvisazione con strumenti non familiari come i tamburi, in situazioni non familiari, cercando di esprimere sensazioni e contenuti non familiari, … è un’occasione efficace per ripercorrere insieme un pezzo della strada che le persone ipoacusiche, nell’affrontare il loro limite, hanno fatto negli anni. L’ignoto del dialogo sonoro si pone come metafora dell’ignoto che i sordi hanno dovuto affrontare nel trovare un linguaggio inedito (inaudito!) per comunicare con gli altri. Ancora una volta, si presenta quindi l’opportunità di sviluppare una nuova consapevolezza di sé e del proprio percorso di vita.

Il suono è partecipazione e gioia
L’ultima annotazione riguarda la partecipazione e il coinvolgimento. Ammetto che il senso comune e la non conoscenza delle molteplici possibilità del suono e della musicoterapia possano far sorgere notevoli dubbi in merito alle potenzialità di un lavoro con persone ipoacusiche sulla comunicazione attraverso l’uso dell’improvvisazione musicale. D’altra parte, è noto che il suono e l’esperienza delle vibrazioni sonore sono parte integrante di molti approcci educativi e di sviluppo del linguaggio (e delle capacità relazionali) per i sordi, in particolare in età evolutiva. Impossibile non citare in questa sede lo straordinario lavoro di Trovesi Cremaschi con l’uso del pianoforte coi bambini sordi.
Il laboratorio appena concluso mi è arrivato come una confortante conferma, sia in merito alla ricchezza espressiva dei sordi, sia sulla forza del suono come esperienza viva dell’essere umano. Suonare i tamburi in improvvisazioni collettive (dodici persone in tutto), in sottogruppi, in dialoghi a due, ecc. genera immediatamente partecipazione e gioia. Sono emozioni che hanno a che fare con il gioco, certo, con la creatività, ma che trovano radice in quella che è l’esperienza primaria del corpo (e della mente) a contatto con le vibrazioni sonore. Dove c’è vita c’è suono, c’è vibrazione. Nella vita intrauterina, prima ancora che si sviluppi l’organo dell’udito, il feto è già immerso nelle vibrazioni sonore (del battito cardiaco, della respirazione, dei movimenti intestinali, della voce della madre) e c’è già l’esperienza dell’appartenenza a una relazione con l’altro veicolata dalla vibrazione. Nella fusione pre-natale, quindi, la vibrazione è già parte strutturante ed essenziale. Il massaggio sonoro in gravidanza si appoggia proprio su questo potenziale per sviluppare la sua efficacia, che è sia emozionale, che profondamente corporea.
Il sordo si comporta, in questo rapporto con la vibrazione sonora, in modo del tutto umano, con in più il vantaggio di sviluppare un’attenzione selettiva e una conoscenza diretta del suono-vibrazione che è molto più profonda che nelle persone udenti.
Quella specifica, unica energia che è il suono (e la musica, nella sua evoluzione organizzata e strutturata), così nota e ancora misteriosa, rappresenta anche per i sordi motivo di grande gioia e vitalità. Mantiene tutto il suo potenziale comunicativo, espressivo, ludico, tonico, vitale, …
Di seguito alcune foto, con un sentito grazie ai partecipanti.








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