Proseguo con le riflessioni 5-8 sulla musicoterapia ispirate dalla lettura dei 17 principi sviluppati da ReggioChildren. Per le premesse potete leggere qui.
Qui trovate invece le riflessioni 1-4.
Cinque
I linguaggi hanno il potere di generare altri linguaggi
La musicoterapia è un mezzo straordinario per elaborare, ridefinire, creare e sviluppare molteplici linguaggi. Il terreno privilegiato è senza dubbio quello della comunicazione para-verbale e non verbale. L’attenzione per gli aspetti creativi e improvvisativi spostano necessariamente l’attenzione dal solo linguaggio verbale e razionale ad altre forme di comunicazione che, per loro natura, sono meno controllati, meno consapevoli, meno gestiti.
Uno degli obiettivi principali di ogni percorso di musicoterapia potrebbe essere quello di creare un con-testo e un pre-testo nei quali l’espressività dà voce e forma alle emozioni e alla comunicazione delle emozioni. Riconoscersi e ritrovarsi, oggi, vuol spesso dire riscoprirsi in contatto con la propria emozionalità, in un contatto che è vitale, familiare, fluido. Vuol dire imparare che le nostre emozioni non sono né spaventose, né ingestibili, né condizionanti. Sono risorse, che si muovono per la nostra mente e il nostro corpo portando con loro un carico di energia enorme. Per sua natura, tale energia non è né positiva né negativa. Con la musica e l’ascolto profondo è possibile prendere coscienza di tale potenziale energetico, sbloccarlo dall’emotività e rimetterlo a disposizione del nostro corpo e della nostra mente.
La manifestazione più diretta e, purtroppo, inascoltata dei nostri blocchi emotivi sono le somatizzazioni. Impariamo a convivere con dolori e disturbi psicosomatici normalizzando questi che non sono altro che segnali importantissimi per comprendere il nostro stato di benessere (o malessere) e di armonia (o disarmonia). Attraverso percorsi strutturati di musicoterapia è possibile ascoltare realmente, profondamente tali segnali. Dare senso e dare espressione nuova alle emozioni ad essi legati e in questo modo rompere un equilibrio che è adattativo ma inadeguato, per dare vita a una nuova fluidità e un nuovo equilibrio, non più strutturato su blocchi e somatizzazioni persistenti ma sulla circolazione e la flessibilità.
Questo processo può essere sviluppato solo restituendo importanza e ascolto alle manifestazioni non verbali e para-verbali: il tono complessivo del nostro corpo, le posture, l’intonazione della voce, il ritmo respiratorio, la gestualità, il radicamento dei nostri piedi e delle nostre gambe a terra, le diverse velocità nelle nostre azioni quotidiane, …
La musica permette di sviluppare linguaggi e comunicazioni innovative e sorprendenti. Essa diventa infatti linguaggio privilegiato multisensoriale e sinestetico, connettore di altri possibili linguaggi. Ad essa è possibile associare il disegno, il ballo, il verbale di un’improvvisazione cantata, la narrazione, la mimica del corpo.
Le persone che partecipano e vivono di queste esperienze possono scoprirsi più competenti nel gestire le diverse fasi ed emozioni della vita, più aperte ad accogliere gli altri, più in ascolto dei bisogni espressi dai propri parenti e amici, più disponibili all’ “improvvisazione” nella vita quotidiana, più liberi dai pregiudizi e dai condizionamenti.
Sei
Le idee sono la risorsa per dare forma alle azioni e generare confronti inediti. Si impara suonando, creando
L’azione e la pratica manifestano chi siamo, i nostri pensieri e la capacità di rapportarci al mondo esterno. La musicoterapia parte dal presupposto che per produrre un cambiamento importante e persistente è necessario fare esperienza. Del suono, della musicalità, delle proprie emozioni, dell’interazione con l’altro. Il percorso di cura esce dal confine della sola parola, del dialogo verbale, che esclude il rapporto con il corpo funzionale, con le proprie capacità di manipolare oggetti e contenuti della realtà. Nel recupero dell’attenzione al movimento e al gioco, si sviluppa un percorso che non si discosta, se non nelle diverse implicazioni, dai percorsi terapeutici per i bambini.
Il rischio da evitare è quello di prediligere l’azione al punto da escludere il pensiero. Le verbalizzazioni relative alle esperienze, alle proprie intuizioni e alla consapevolezza che si sviluppano durante il percorso sono un momento importantissimo e favoriscono l’abitudine all’ascolto profondo di sé. Come è noto, gli adulti sono più refrattari a rimettersi in discussione e ad ammettere di poter di nuovo imparare, apprendere e rinegoziare le proprie convinzioni. Il pensiero e la ragione sono quindi uno strumento importantissimo per favorire la predisposizione dell’adulto a connettersi nuovamente con la parte più intuitiva ed emotiva del proprio essere e sono centrali per rielaborare le esperienze vissute. D’altra parte è impensabile realizzare percorsi espressivi e di cura con l’uso della musica senza che essa sia effettivamente sperimentata, vissuta, prodotta e condivisa nel e con il corpo funzionale, con i mutamenti di respiro, le agilità e rigidità del movimento, i cambiamenti del tono, la fatica dello stare a tempo, l’esplorazione del rapporto con lo spazio e la terra.
Un buon percorso di crescita con la musica dovrebbe favorire il circolo pensiero-azione-apprendimento. È in questa continua circolazione che si esprime appieno l’approccio olistico e si rimettono in moto energie essenziali al cambiamento e al benessere.
Al contrario, si rischia di dare spazio alle sole razionalizzazioni, producendo sovrastrutture su sovrastrutture.
Va ricordato, inoltre, che anche l’esperienza del silenzio e della pausa si connota come azione del corpo nel tempo e nello spazio, prima ancora che come esperienza psicologica.
Sette
Recuperare la gioia per l’arte della ricerca
Mi è capitato negli anni di assistere alla presentazione di modelli e tecniche musicoterapeutiche nelle quali si palesava un’evidente forzatura del metodo sulla persona impegnata nell’esperienza.
Detto che è importante, fondamentale, riuscire a definire l’utenza con la quale si sa, si vuole e si ha intenzione di lavorare, dall’altro è importante ricordarsi che il metodo o la tecnica non sono la pratica. Non è mia intenzione voler porre la questione della dicotomia tra tecnica e pratica che reputo sterile e riduttiva. Tuttavia, per chi opera in contesti di cura, soprattutto, sa quali trappole può mettere in atto la tecnica. Il modello offre certezze e aiuta a ridurre le ansie dovute all’imprevisto e all’imprevedibilità insito in ogni rapporto terapeutico. Un’eccessiva attenzione al modello di riferimento produce due effetti: rigidità di approccio, difficoltà nel costruire una relazione autentica con l’altro.
Interpreto il modello e la tecnica come un insieme di strumenti a disposizione del musicoterapeuta che quest’ultimo è tenuto a rielaborare continuamente e ad adattare in ogni momento della pratica. Al contrario si rischia di trovarsi di fronte al paziente che non va bene per il percorso che abbiamo intenzione di realizzare. Un bel paradosso.
Ammettere a se stessi di trovarsi in difficoltà in alcuni contesti è necessario e salutare, perché permette di mettersi in discussione e di rivedere il kit dei propri strumenti e il proprio approccio. Ma rimandare all’altra persona, anche implicitamente, il messaggio che egli non è adeguato al nostro approccio e al nostro con-testo è solo un modo per manifestare malamente il proprio ego e la propria presunta superiorità. Tale messaggio è ancor più doloroso e negativo per il paziente in quanto rinforza la sua percezione di inadeguatezza e tradisce completamente ogni minima disponibilità a mettersi in discussione.
La gioia della ricerca, per il professionista di musicoterapia, vuol dire non lavorare per confermare conoscenze o pensieri già prodotti, ma per continuare a costruirne di nuovi, aperti all’incontro reale e profondo con l’altro.
Il metodo e la tecnica sono, quindi, strumenti, risorse e punti di riferimento per una pratica efficace e coerente.
Otto
Ogni percorso di musicoterapia dovrebbe svilupparsi attraverso una metodologia della ricerca
Per le ragioni affrontate al punto sette, il metodo e la tecnica diventano quindi metodologia della ricerca. È importante rilevare, selezionare e connettere quanto succede nella pratica per creare nuove interconnessioni e dare forma a nuovi strumenti. Da questo punto di vista, ogni seduta è un vero e proprio laboratorio sperimentale, nel quale però le persone non vengono dissezionate, ma osservate nel loro complesso e in relazione alle dinamiche che nascono durante il lavoro.
In questo modo, per stratificazioni, si acquisiscono conoscenze e modalità operative che verranno sfruttate e valorizzate successivamente.
Ma è importante non scordare mai che all’interno del laboratorio il musicoterapeuta è egli stesso uno degli attori e uno degli oggetti di osservazione principale. La giusta predisposizione, a mio avviso, è quella di chi, con serenità personale, è pronto a mettersi in discussione e si percepisce anch’egli parte di un percorso di crescita. Flessibilità, circolarità, adattabilità, apertura acritica e piena accettazione di sé e degli altri sono alcuni concetti fondamentali che ogni musicoterapeuta dovrebbe sempre avere chiari in testa e mettere al centro della propria esperienza terapeutica.
I linguaggi hanno il potere di generare altri linguaggi
La musicoterapia è un mezzo straordinario per elaborare, ridefinire, creare e sviluppare molteplici linguaggi. Il terreno privilegiato è senza dubbio quello della comunicazione para-verbale e non verbale. L’attenzione per gli aspetti creativi e improvvisativi spostano necessariamente l’attenzione dal solo linguaggio verbale e razionale ad altre forme di comunicazione che, per loro natura, sono meno controllati, meno consapevoli, meno gestiti.
Uno degli obiettivi principali di ogni percorso di musicoterapia potrebbe essere quello di creare un con-testo e un pre-testo nei quali l’espressività dà voce e forma alle emozioni e alla comunicazione delle emozioni. Riconoscersi e ritrovarsi, oggi, vuol spesso dire riscoprirsi in contatto con la propria emozionalità, in un contatto che è vitale, familiare, fluido. Vuol dire imparare che le nostre emozioni non sono né spaventose, né ingestibili, né condizionanti. Sono risorse, che si muovono per la nostra mente e il nostro corpo portando con loro un carico di energia enorme. Per sua natura, tale energia non è né positiva né negativa. Con la musica e l’ascolto profondo è possibile prendere coscienza di tale potenziale energetico, sbloccarlo dall’emotività e rimetterlo a disposizione del nostro corpo e della nostra mente.
La manifestazione più diretta e, purtroppo, inascoltata dei nostri blocchi emotivi sono le somatizzazioni. Impariamo a convivere con dolori e disturbi psicosomatici normalizzando questi che non sono altro che segnali importantissimi per comprendere il nostro stato di benessere (o malessere) e di armonia (o disarmonia). Attraverso percorsi strutturati di musicoterapia è possibile ascoltare realmente, profondamente tali segnali. Dare senso e dare espressione nuova alle emozioni ad essi legati e in questo modo rompere un equilibrio che è adattativo ma inadeguato, per dare vita a una nuova fluidità e un nuovo equilibrio, non più strutturato su blocchi e somatizzazioni persistenti ma sulla circolazione e la flessibilità.
Questo processo può essere sviluppato solo restituendo importanza e ascolto alle manifestazioni non verbali e para-verbali: il tono complessivo del nostro corpo, le posture, l’intonazione della voce, il ritmo respiratorio, la gestualità, il radicamento dei nostri piedi e delle nostre gambe a terra, le diverse velocità nelle nostre azioni quotidiane, …
La musica permette di sviluppare linguaggi e comunicazioni innovative e sorprendenti. Essa diventa infatti linguaggio privilegiato multisensoriale e sinestetico, connettore di altri possibili linguaggi. Ad essa è possibile associare il disegno, il ballo, il verbale di un’improvvisazione cantata, la narrazione, la mimica del corpo.
Le persone che partecipano e vivono di queste esperienze possono scoprirsi più competenti nel gestire le diverse fasi ed emozioni della vita, più aperte ad accogliere gli altri, più in ascolto dei bisogni espressi dai propri parenti e amici, più disponibili all’ “improvvisazione” nella vita quotidiana, più liberi dai pregiudizi e dai condizionamenti.
Sei
Le idee sono la risorsa per dare forma alle azioni e generare confronti inediti. Si impara suonando, creando
L’azione e la pratica manifestano chi siamo, i nostri pensieri e la capacità di rapportarci al mondo esterno. La musicoterapia parte dal presupposto che per produrre un cambiamento importante e persistente è necessario fare esperienza. Del suono, della musicalità, delle proprie emozioni, dell’interazione con l’altro. Il percorso di cura esce dal confine della sola parola, del dialogo verbale, che esclude il rapporto con il corpo funzionale, con le proprie capacità di manipolare oggetti e contenuti della realtà. Nel recupero dell’attenzione al movimento e al gioco, si sviluppa un percorso che non si discosta, se non nelle diverse implicazioni, dai percorsi terapeutici per i bambini.
Il rischio da evitare è quello di prediligere l’azione al punto da escludere il pensiero. Le verbalizzazioni relative alle esperienze, alle proprie intuizioni e alla consapevolezza che si sviluppano durante il percorso sono un momento importantissimo e favoriscono l’abitudine all’ascolto profondo di sé. Come è noto, gli adulti sono più refrattari a rimettersi in discussione e ad ammettere di poter di nuovo imparare, apprendere e rinegoziare le proprie convinzioni. Il pensiero e la ragione sono quindi uno strumento importantissimo per favorire la predisposizione dell’adulto a connettersi nuovamente con la parte più intuitiva ed emotiva del proprio essere e sono centrali per rielaborare le esperienze vissute. D’altra parte è impensabile realizzare percorsi espressivi e di cura con l’uso della musica senza che essa sia effettivamente sperimentata, vissuta, prodotta e condivisa nel e con il corpo funzionale, con i mutamenti di respiro, le agilità e rigidità del movimento, i cambiamenti del tono, la fatica dello stare a tempo, l’esplorazione del rapporto con lo spazio e la terra.
Un buon percorso di crescita con la musica dovrebbe favorire il circolo pensiero-azione-apprendimento. È in questa continua circolazione che si esprime appieno l’approccio olistico e si rimettono in moto energie essenziali al cambiamento e al benessere.
Al contrario, si rischia di dare spazio alle sole razionalizzazioni, producendo sovrastrutture su sovrastrutture.
Va ricordato, inoltre, che anche l’esperienza del silenzio e della pausa si connota come azione del corpo nel tempo e nello spazio, prima ancora che come esperienza psicologica.
Sette
Recuperare la gioia per l’arte della ricerca
Mi è capitato negli anni di assistere alla presentazione di modelli e tecniche musicoterapeutiche nelle quali si palesava un’evidente forzatura del metodo sulla persona impegnata nell’esperienza.
Detto che è importante, fondamentale, riuscire a definire l’utenza con la quale si sa, si vuole e si ha intenzione di lavorare, dall’altro è importante ricordarsi che il metodo o la tecnica non sono la pratica. Non è mia intenzione voler porre la questione della dicotomia tra tecnica e pratica che reputo sterile e riduttiva. Tuttavia, per chi opera in contesti di cura, soprattutto, sa quali trappole può mettere in atto la tecnica. Il modello offre certezze e aiuta a ridurre le ansie dovute all’imprevisto e all’imprevedibilità insito in ogni rapporto terapeutico. Un’eccessiva attenzione al modello di riferimento produce due effetti: rigidità di approccio, difficoltà nel costruire una relazione autentica con l’altro.
Interpreto il modello e la tecnica come un insieme di strumenti a disposizione del musicoterapeuta che quest’ultimo è tenuto a rielaborare continuamente e ad adattare in ogni momento della pratica. Al contrario si rischia di trovarsi di fronte al paziente che non va bene per il percorso che abbiamo intenzione di realizzare. Un bel paradosso.
Ammettere a se stessi di trovarsi in difficoltà in alcuni contesti è necessario e salutare, perché permette di mettersi in discussione e di rivedere il kit dei propri strumenti e il proprio approccio. Ma rimandare all’altra persona, anche implicitamente, il messaggio che egli non è adeguato al nostro approccio e al nostro con-testo è solo un modo per manifestare malamente il proprio ego e la propria presunta superiorità. Tale messaggio è ancor più doloroso e negativo per il paziente in quanto rinforza la sua percezione di inadeguatezza e tradisce completamente ogni minima disponibilità a mettersi in discussione.
La gioia della ricerca, per il professionista di musicoterapia, vuol dire non lavorare per confermare conoscenze o pensieri già prodotti, ma per continuare a costruirne di nuovi, aperti all’incontro reale e profondo con l’altro.
Il metodo e la tecnica sono, quindi, strumenti, risorse e punti di riferimento per una pratica efficace e coerente.
Otto
Ogni percorso di musicoterapia dovrebbe svilupparsi attraverso una metodologia della ricerca
Per le ragioni affrontate al punto sette, il metodo e la tecnica diventano quindi metodologia della ricerca. È importante rilevare, selezionare e connettere quanto succede nella pratica per creare nuove interconnessioni e dare forma a nuovi strumenti. Da questo punto di vista, ogni seduta è un vero e proprio laboratorio sperimentale, nel quale però le persone non vengono dissezionate, ma osservate nel loro complesso e in relazione alle dinamiche che nascono durante il lavoro.
In questo modo, per stratificazioni, si acquisiscono conoscenze e modalità operative che verranno sfruttate e valorizzate successivamente.
Ma è importante non scordare mai che all’interno del laboratorio il musicoterapeuta è egli stesso uno degli attori e uno degli oggetti di osservazione principale. La giusta predisposizione, a mio avviso, è quella di chi, con serenità personale, è pronto a mettersi in discussione e si percepisce anch’egli parte di un percorso di crescita. Flessibilità, circolarità, adattabilità, apertura acritica e piena accettazione di sé e degli altri sono alcuni concetti fondamentali che ogni musicoterapeuta dovrebbe sempre avere chiari in testa e mettere al centro della propria esperienza terapeutica.
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