La musica fa ritornare al silenzio.
È uno degli obiettivi più importanti di un percorso di musicoterapia.
Lo sappiamo, è banale, la musica nasce dal silenzio e torna al silenzio. Come la vita.
Riempiamo il quotidiano di rumore perché temiamo il vuoto, lo spazio, l’ascolto. Il silenzio ci spaventa.
La musica cura, la musica genera, la musica sviluppa, la musica… può essere una grande fuga.
Con la musica ci si può stordire e perdere. Che sia Bach, che sia John Coltrane.
Ascoltando Ascension, del sassofonista afro-americano, viene in mente la vita. Tutto quel rumore, quella cacofonia, che porta al silenzio. Ma nel mezzo, quanta sofferenza?
L’esperienza del suono può essere un ritorno all’ascolto profondo, può far scoprire la pace dell’armonia tra mente e corpo, dell’interruzione del continuo e logorante lavorio mentale, della sospensione del flusso ininterrotto dei pensieri.
Ma al silenzio e alla pace ci si arriva per gradi.
Nella pratica terapeutica, ho scoperto la disponibilità d’animo delle persone, una nuova apertura all’ascolto. Proposte musicali sorprendenti e anche lontanissime dalla loro cultura e abitudine possono essere accolte favorevolmente e generare sorpresa e nuova consapevolezza. Si può scoprire di aver bisogno di suoni nuovi, di musiche diverse, di ritmi e armonie inascoltate. Si può imparare a ricercare il silenzio passo dopo passo, come un cammino interiore. Rigenerante.
Il musicoterapeuta può far sorgere nel profondo della persona questa esigenze, questo nuovo desiderio. Come un faro che illumina un cammino.
Ma non può, non deve in nessun modo imporre un passo, colpevolizzare il rumore, sostituire un’identificazione con un’altra. Perché il silenzio, anch’esso, può diventare una fuga, nel momento in cui si traduce in sordità, isolamento e repressione. Quando è imposto.
Al suono, dal suono, col suono ci si muove. Che nasce dal silenzio e torna al silenzio. Come la vita. Si riscopre il silenzio. Si riscoprono i suoni e i ritmi della vita.
È uno degli obiettivi più importanti di un percorso di musicoterapia.
Lo sappiamo, è banale, la musica nasce dal silenzio e torna al silenzio. Come la vita.
Riempiamo il quotidiano di rumore perché temiamo il vuoto, lo spazio, l’ascolto. Il silenzio ci spaventa.
La musica cura, la musica genera, la musica sviluppa, la musica… può essere una grande fuga.
Con la musica ci si può stordire e perdere. Che sia Bach, che sia John Coltrane.
Ascoltando Ascension, del sassofonista afro-americano, viene in mente la vita. Tutto quel rumore, quella cacofonia, che porta al silenzio. Ma nel mezzo, quanta sofferenza?
L’esperienza del suono può essere un ritorno all’ascolto profondo, può far scoprire la pace dell’armonia tra mente e corpo, dell’interruzione del continuo e logorante lavorio mentale, della sospensione del flusso ininterrotto dei pensieri.
Ma al silenzio e alla pace ci si arriva per gradi.
Nella pratica terapeutica, ho scoperto la disponibilità d’animo delle persone, una nuova apertura all’ascolto. Proposte musicali sorprendenti e anche lontanissime dalla loro cultura e abitudine possono essere accolte favorevolmente e generare sorpresa e nuova consapevolezza. Si può scoprire di aver bisogno di suoni nuovi, di musiche diverse, di ritmi e armonie inascoltate. Si può imparare a ricercare il silenzio passo dopo passo, come un cammino interiore. Rigenerante.
Il musicoterapeuta può far sorgere nel profondo della persona questa esigenze, questo nuovo desiderio. Come un faro che illumina un cammino.
Ma non può, non deve in nessun modo imporre un passo, colpevolizzare il rumore, sostituire un’identificazione con un’altra. Perché il silenzio, anch’esso, può diventare una fuga, nel momento in cui si traduce in sordità, isolamento e repressione. Quando è imposto.
Al suono, dal suono, col suono ci si muove. Che nasce dal silenzio e torna al silenzio. Come la vita. Si riscopre il silenzio. Si riscoprono i suoni e i ritmi della vita.
John Coltrane in silenzio
3 commenti:
Caro Willi,
è bella la tua riflessione e concordo su tutto.
Posso solo aggiungere che il Silenzio per quel che mi riguarda è più vicino ad una condizione di pienezza che di vacuità.
Credo che non tutto sia vacuo, sunyata ne è il termine buddista, ma è vacuo cià che non è fondamento dell'esistenza.
Si può negare tutto tranne l'esperienza di Essere ora.
Quell'esperienza di Essere è tra l'altro sempre in relazione ad un Tu...ecco che la vacuità diviene vacua, e quindi un impedimento da superare.
Il Silenzio quindi diviene la possibilità di accogliere. Accogliere l'altro, conoscerlo e lasciasri conoscere nel fondamento stesso dell'Essere. Dove l'io diviene tu.
un abbraccio Silenzioso
Lamb.
Ciao Lamb,
grazie.
Sì, comprendo quello che dici. Il silenzio è lo spazio che serve per accogliere.
La vacuità è il mezzo e non il fine.
Che dici?
Guglielmo
Caro Guglielmo,
direi di si e di no.
Nel senso che considerare il Silenzio come semplice "mezzo" è poco.
Mentre vederlo come fine ultimo è eccessivo.
Forse potremo intenderlo come quella Dimensione in cui si realizzazno entrambe le possibilità, senza però che queste perdano le loro carattersitiche essenziali.
Inoltre è in questo cerchio sacro che avviene l'incontro reale ed essenziale con l'Altro. senza che questo, l'altro, sminuisca il cerchio stesso.
un pò contorta ?
:-)
un abbraccio
lamberto
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